venerdì 3 ottobre 2008

Come nasce a Napoli il problema della "monnezza"

Vivendo lontano da Napoli, i miei amici mi hanno spesso chiesto negli ultimi tempi dove affonda le radici il problema della spazzatura a Napoli. Loro pensano che per il solo fatto di essere napoletano io debba essere al corrente di tutti i meccanismi politici, sociali, affaristici e, perché no, anche antropologici che sono dietro questo fenomeno che, guarda caso, non ha eguali, neanche nello stesso Sud. Non è che sia esperto della materia, ma un’idea me la sono fatta negli anni, indipendentemente dal fatto di provenire dalla bellissima e martoriata Campania, tutt’altro che “Felix” come la chiamavano i Romani ai tempi di Scipione, in virtù della fertilità dei suoi terreni e del suo clima invidiabile.
Provo a riassumere in poche righe la “storia” di questo problema endemico e complesso.
In linea di massima il problema dei rifiuti in Campania è da attribuirsi a 2 ordini di cause:

1. Quasi totale assenza di differenziazione nella raccolta dei rifiuti (fatte salve alcune zone del salernitano e dell’Irpinia dove, al contrario, la differenziazione arriva fino all’85%).
2. Sfruttamento delle situazioni d’emergenza, una volta create, da parte delle organizzazioni criminali e da parte di imprenditori del campo dello smaltimento, fortemente collusi con le organizzazioni suddette se non addirittura membri effettivi delle stesse.

La prima causa è dovuta ad un più che ventennale connubio tra potere politico, imprenditoriale e camorristico attraverso il sistema dei CONSORZI a capitali misti, pubblici e privati. Questo sistema ha di fatto permesso agl’imprenditori impegnati nel settore dello smaltimento, collusi con la camorra e protetti da una larga fetta del potere politico locale, di aggirare tutti i meccanismi di controllo, sia nazionali che comunitari, facendo del “consorzio” una sorta di cartello monopolistico che finisce inevitabilmente per penalizzare la concorrenza e, alla fine, le imprese che vincono le gare d’appalto non possono che essere quelle aderenti al consorzio. Il fatto, poi, che tali consorzi abbiano una componente finanziaria pubblica (patrocinata da partiti ed amministrazioni locali) ed una privata (le imprese stesse) fa si che la parte pubblica garantisca l’appalto per la raccolta di rifiuti in tutti i comuni della realtà consorziale (eliminando ogni possibile concorrenza da parte di altre imprese), ma fa anche si che i privati si approprino degli utili, lasciando tutte le spese e le perdite alla parte pubblica. Alla fine, quindi, si spende poco o nulla da parte privata, ma s’intascano tutti i guadagni. Ovviamente imprese di tale tipo sono quasi sempre vicine alla camorra, altrimenti neanche avrebbero la possibilità di schierarsi in prima fila all’interno del consorzio. I guadagni da parte di queste imprese sono resi ancora più cospicui dal fatto che, trattandosi di imprese colluse, esse non hanno alcuna intenzione di rispettare le legislazioni nazionali e comunitarie e la struttura che si danno, appunto quella del “consorzio, in qualche modo gli consente di farlo con una serie di raggiri artificiosi delle norme vigenti, utilizzando a proprio vantaggio le norme che regolano la vita e le attività dei consorzi stessi. Quindi, invece di favorire la raccolta differenziata, il riciclaggio, gl’interventi di termoriduzione e di termovalorizzazione, essi prediligono solo le discariche classiche (molte delle quali anche abusive ed illegali), quelle vecchie e tradizionali, all’interno delle quali infossare tutto il possibile, anche quei rifiuti che non dovrebbero assolutamente finire lì perché nocivi. In questo modo il ciclo dei rifiuti non viene completato, anzi in alcuni casi neanche parte e le discariche finiscono per saturarsi.
La classe politica ha sempre finto di non capire che fino a quando sarebbe finito tutto in discarica non si poteva non arrivare ad una situazione di saturazione. In tutti i paesi civili si sa che in discarica deve andare pochissimo, la parte più piccola di un campione generale di rifiuti urbani, agricoli ed industriali.
Menzione a parte, poi, meritano i rifiuti tossici, il cui prezzo ordinario di smaltimento ammonterebbe a circa 70-80 centesimi al Kg, mentre le imprese della camorra li fanno smaltire illegalmente per circa 10 centesimi al Kg, distruggendo ogni possibile forma di concorrenza perché solo un imprenditore pazzo non smaltirebbe a questi prezzi stracciati.

Il secondo ordine di cause risiede proprio nello stato di emergenza che si viene a creare per i motivi esposti sopra. Di fronte all’emergenza, con le strade colme di rifiuti, con la popolazione sul piede di guerra, le stesse imprese della camorra finiscono per offrirsi di smaltire il surplus nelle loro discariche, facendo lievitare i prezzi, sfruttando proprio l’emergenza. In questi casi, infatti, i commissari di governo (i vari De Gennaro e Bertolaso, per intenderci), pur di far partire la raccolta e liberare le strade dai cumuli di immondizia, acquistando anche prestigio agli occhi degli elettori, in favore dei governi che li assoldano, chiudono un occhio sulla natura della discarica che si va a coinvolgere e sulla tipologia di smaltimento adottata. Alla fine si ha il caso paradossale di uno smaltimento d’emergenza che avviene in discariche inadeguate ed illegali, quasi sempre di proprietà della camorra che per tali smaltimenti prende fiumi di soldi dai commissariati di governo e, in più, ottiene una legittimazione deleteria che fuori dall’emergenza non potrebbe mai ottenere. Si tratta, in altri termini, del classico caso di realizzazione del famoso proverbio napoletano “CORNUTI E MAZZIATI”, riferito, ovviamente, ai cittadini campani.
Alla fine, quindi, prevale questa soluzione approssimativa e di ripiego solo perché di fronte ad imminenti elezioni e/o campagne elettorali, ai politici interessa ripulire la città e raggiungere il risultato per colpire in positivo i cittadini, indipendentemente dal metodo adottato per farlo.
In linea di massima è un po’ questa la storia dello smaltimento in Campania ed a Napoli in particolare. Anche le ultime pulizie, a mio avviso solo di facciata, perché le periferie ed alcune zone della provincia sono ancora sommerse dai rifiuti, rientrano in questa politica del rattoppo, come l’ha chiamata già 10 anni fa il mio professore di “Politica dell’Ambiente” Ugo Leone dell’Università di Napoli. Una politica non solo di rattoppo, ma fortemente elettorale che non ha dietro nessuna programmazione a lungo raggio né un taglio alla radice del problema. E poi c’è il classico giro del coltello nella piaga quando si sentono 2 napoletani su 3 dire: “Questo governo almeno una sorta di pulizia l’ha fatta, chi c’era prima non ha fatto neanche questo”. Vabbè, che dire, “viva Napoli e viva l’Italia”.
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Gigi Landi

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