martedì 24 giugno 2008

Ecco un estratto...

Stefano e i suoi compagni conoscevano i problemi che affliggevano la città, ma avevano rispetto ad essi gli stessi atteggiamenti che si hanno quando al telegiornale si apprende del rapimento di un volontario in Iraq o in Libano. Può dispiacere, può anche fare rabbia, ma di qui a muoversi in prima persona, dando ciascuno il proprio piccolo ma fondamentale contributo per migliorare la situazione, ce ne vuole. Unirsi e combattere per delle idee di legalità e di convivenza civile, sono cose di altri tempi perchè, in questo stato di fatto, finisce per prevalere sempre la logica della rassegnazione e si finisce per constatare che finchè non si viene coinvolti in prima persona, si può tirare a campare pur nel disagio. Questo è il motivo per cui qualcuno ha osato affermare che di fronte a queste realtà difficili le istituzioni e la società civile fanno più rabbia della malavita stessa, proprio come farebbe rabbia guardare una persona che si lascia schiaffeggiare in pubblico senza alzare un dito per reagire.
Spesso il dottor Bosco, quando riusciva ad intavolare una discussione serena con suo figlio, cercava di cogliere i suoi punti di vista su questo problema. Ci teneva molto a sapere come la pensasse in proposito; se fosse speranzoso o rassegnato, se fosse indignato o tutto sommato indifferente rispetto agli eventi che infangavano le belle e sane tradizioni di una cittadina di mare, un tempo meta di vacanzieri e fornitrice di lavoro per la grande quantità di pastifici che vi erano insediati. Stefano si dimostrava alquanto distaccato, non perché fosse insensibile, ma perché conosceva solo quella realtà e non altre; egli non aveva gli strumenti mentali e conoscitivi per poter pensare alla sua città come a qualcosa di diverso. Certamente l’omicidio facile e il fatto di colpire anche e soprattutto ragazzi della sua età era un qualcosa che lo terrorizzava, perché significava eliminare una persona nel fior fiore della sua età e tutto questo per cosa? Per essersi legato ad un capo piuttosto che ad un altro? O per aver scelto il guadagno facile piuttosto che tutta la trafila legata alla ricerca di un lavoro onesto? Su questo Stefano rifletteva e tendeva anche a dare una sua giustificazione economica alle attività illecite e alle scelte compiute da questi ragazzi, ma l’omicidio non lo capiva affatto. Riteneva che fosse troppo come metodo di risoluzione dei contrasti o di punizione degli sgarri. Era proprio questa la sua ingenuità; il suo non capire che non può esistere organizzazione malavitosa che non uccida o che sia disposta a far passare un tradimento od uno sgarro; essa non riuscirebbe neanche a mantenersi in vita. Lui doveva capire soltanto che i ragazzi che spesso incontrava di sera sul lungomare non si limitavano a vendere l’erba, ma dovevano necessariamente fare dell’altro in qualità di membri di un ingranaggio malavitoso che andava ben al di là di qualche grammo di erba o di hashish e che all’occorrenza potessero anche ammazzare. Queste cose, finchè non le si vedeva coi propri occhi, non gettavano lo scompiglio nella vita dei ragazzi perbene.
Stefano solo in due casi era stato preso da profondo sgomento: quando si era trovato sul luogo di un delitto pochi minuti dopo che questo venisse consumato. Passava di lì per caso ed ha visto questo ragazzo steso per terra in un lago di sangue. Ecco, quella scena rappresentava la realtà, una realtà che andava ben oltre il semplice sentito dire e quella volta il giovane studente aveva dovuto riflettere sul serio. Il cadavere era lì davanti a lui, scoperto, sfigurato ed insanguinato e la sensazione provata non era assolutamente paragonabile a quella che si prova quando si sente dire in giro “hanno ucciso un alfonsino in via Tizio o in via Caio !”. Un altro tonfo al cuore Stefano lo aveva provato in un’altra occasione, quando era al cimitero con suo padre per portare dei fiori ai nonni e, camminando per le varie congreghe, restava di pietra davanti ad una tomba con la foto di un suo vecchio amico di infanzia. Era un ragazzo che giocava nella sua stessa squadra di calcio di quartiere quando i due avevano circa dieci anni; l’aveva conosciuto bene, ma nonostante ciò non immaginava neanche lontanamente il motivo per cui quel ragazzo stesse sottoterra. Le prime cose che gli erano venute in mente in merito a quel decesso non potevano che essere quelle consuete e cioè una brutta malattia o un incidente, ma presto, informatosi presso amici di quel periodo dell’infanzia, scopre la cruda realtà. Quel ragazzo era morto in un agguato teso a lui e a suo padre, per punire quest’ultimo, reo di aver intrapreso un traffico di auto rubate fuori dai canali “ufficiali”, cercando di gestirselo da sè. L’uomo non aveva messo in conto il prezzo che c’era da pagare per uno sgarro del genere e alla fine anche suo figlio era stato chiamato a pagarlo.
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tratto da "Un Ragazzo Perbene"

1 commento:

Anonimo ha detto...

...dopo aver letto questo estratto sono curiosa di leggere il libro tutto d'un fiato!

Ti segnalo i blog altri due scrittori esordienti, Rosario Laganà:
http://www.origamidiparole.com

e Ambrosia (lo scorso anno ha pubblicato il suo primo romanzo, un bellissimo giallo):
http://jericho.ilcannocchiale.it

buona giornata!
p.s. salutami gabriele!! :p